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L'ampolla di Asclepio - Il respiro (2)

Il respiro ispira

di Gian Balsamo, scrittore

Il respiro umano è sempre stato fonte di scandalo. Tutte le religioni da cui ha attinto la cristianità incentrano l’origine della vita sul respiro, il “pneuma” dei greci, il fiato dell’oltretomba degli egiziani, etc. La cristianità ci ha dato lo Spirito Santo, che dovrebbe essere più propriamente chiamato Respiro Santo, perché è quel fiato che in Genesi Dio soffia nella gola di una statua di fango. Ed è anche il fiato con cui Cristo e i suoi profeti si facevano “logos” e annunciavano il “Verbo.” Per gli antichi lo scandalo del respiro era nel sortilegio d’un soffio che originava la vita (della carne, dello spirito) là dove prima c’era solo morte e inerzia—tant’è vero che in t s'aï n sensen (Libro del Respiro) gli antichi egizi fanno persino dipendere la vita d’oltretomba dal respiro: a completare indenni l’attraversamento del Regno della Notte sono solo i defunti che riprendono a respirare e si uniscono sessualmente con la dea Iside. Un altro scandalo dunque: nel Libro del Respiro egiziano il respiro del coito restituisce la vita.

Uno scandalo più recente si trova nella filosofia di William James, che un secolo fa sosteneva che il detto “penso dunque sono” di Descartes andrebbe riformulato nel detto “respiro dunque penso.” James è il genitore della ben nota espressione “stream of consciousness” o flusso di coscienza. Secondo lui questo flusso era solo il termine impreciso con cui veniva definito lo “stream of breathing,” il flusso del respiro.

Nei due anni scorsi ho intervistato a lungo e sovente Enrica Antonioni, la giovane vedova di Michelangelo Antonioni, a proposito dell’ultimo documentario del marito, “Lo sguardo di Michelangelo.” Si tratta di un cortometraggio di 15 minuti dedicato al Mosè del Buonarroti in San Pietro in Vincoli a Roma. Al tempo di questo documentario il regista novantaduenne era ridotto a un occhio per vedere (l’altro era in stato di avanzata tumefazione) e una mano per gesticolare a fatica. La prima volta in cui ho visto di persona la statua del Buonarroti è stata quando ho visitato San Pietro in Vincoli insieme a Enrica e alla troupe che ci filmava; quel giorno ho avuto l’impressione che il documentario di Antonioni mi avesse mostrato una statua più vivida di quella che avevo sotto gli occhi. Quasi nessuno sa che quel documentario è stato girato senza sonoro; più tardi la colonna sonora è stata aggiunta da un tecnico del suono, Mirco Mencacci, che è cieco. Mencacci ha saputo cogliere quel che mancava in fotogrammi a lui invisibili, immagini che poteva solo intuire sulla base di descrizioni fattegli da amici e collaboratori. È sua l’idea di completare la scena in cui Antonioni accarezza il Mosè col rumore che fa l’anello al dito del regista mentre scorre sul marmo. Il momento magico delle mie interviste a Enrica Antonioni è venuto quando lei mi ha detto che Mencacci le aveva chiesto di registrare il respiro di Antonioni. Il sonoro di questo documentario è talmente etereo che c’è una sola sala cinematografica a Roma equipaggiata per riprodurlo adeguatamente. È un effetto tanto evanescente quanto il respiro di Antonioni che accompagna alcune scene. Dopo una vita trascorsa dietro la cinepresa Antonioni si è messo di fronte all’obiettivo per lasciarci, alle soglie della morte, la traccia del suo respiro—lo “stream of breathing” che ha alimentato tutti i suoi capolavori.

Gian Balsamo ha insegnato letteratura a Stanford University, Northwestern University e l’American University in Cairo.

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